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Il packaging del fast-food si rinnova… per tornare alle origini

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Mc Donald’s, Burger King e KFC fanno il revamp del Packaging, e i clienti ritrovano i colori della loro infanzia.

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In una scena iconica del film The founder, l’attore Michael Keaton, nei panni del proprietario della catena di ristoranti McDonald’s Ray Kroc, spiega ai reali inventori della formula fast-food perché non si sia limitato a soffiargli l’idea ma si sia impadronito anche del loro cognome.
In quel nome, così americano, in quella “M” destinata a diventare parte dell’architettura di tutto il mondo, c’era un pezzo, importante, del successo dei ristoranti.

Ma se la M resta intoccabile, quest’anno il packaging di McDonald’s ha iniziato una transizione verso un  profondo rinnovamento, e altrettanto hanno fatto i concorrenti Burger King e KFC (Kentucky Fried Chicken).

Rinnovamento in un anno che ha visto un calo medio complessivo del 10% per questo settore, mentre la crisi pandemica ispira un po’ tutto il mercato a riposizionarsi e aggrapparsi al volano dell’attesa riaccensione dell’economia, in un quadro che ancora nessuno sa se e quanto vedrà modificate le preferenze dei consumatori. Si cerca di prevedere le abitudini del futuro, ma per farlo, come vedremo, si punta al cuore gonfio di nostalgia del pubblico.

Tra gennaio e febbraio 2021, i due re degli hamburger hanno presentato nuovi concept delle confezioni che accompagnano il cibo, diventate quanto mai protagoniste con il consumo a domicilio. La confezione per il delivery, infatti, è il modo per rendere festosa, memorabile e unica l’esperienza di consumo in casa (oltre alla qualità alimentare, s’intende). È il modo in cui il ristorante si installa nell’appartamento di ciascuno. Se il giro d’affari è complessivamente calato, il delivery è cresciuto, comprensibilmente, alle stelle.

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Per l’estate è attesa la proposta di KFC. È abbastanza evidente che non si tratta di una coincidenza dettata dalle circostanze. I tre gruppi si marcano stretti ed è inevitabile che le scelte di uno condizionino quelle degli altri, soprattutto quando a farle è il leader di mercato.

In un settore che cambia, chi non lo fa trasmette ai clienti una sensazione di staticità che rischia di ripercuotersi sulle vendite, soprattutto in un contesto in cui si respira, in tutta la comunicazione commerciale, la corsa alla rinascita.

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Il legame tra packaging e propensione al consumo è più che noto, ma i dati su questo recente “revamp” lo confermano: in un sondaggio condotto da Ad Age-Harris Poll, il 56% degli interpellati ha affermato che il nuovo look di Burger King ha reso “il cibo più appetitoso, mentre il 44% ha scelto McDonald’s perché avrebbe il design più appetitoso”.

Quanto alle preferenze generali, questa volta sarebbe Burger King a convincere di più i consumatori: il 54% degli intervistati ha dichiarato di “preferire la confezione di Burger King, mentre il 46% ha scelto McDonald’s”. 

Quando si rinnova la propria identità visiva, lo sanno bene i professionisti del settore, bisogna dosare saggiamente gli ingredienti, perché non si smarrisca la precisa connotazione e riconoscibilità del brand, che deve trasmettere anche una serie di valori e contenuti legati al prodotto e alla mission aziendale. 

Bisogna dunque avere molto chiaro qual è l’obiettivo finale e il messaggio che si vuole consegnare ai consumatori con il proprio packaging.

Anche in questo caso, corrono in aiuto le risposte e le reazione degli utenti finali. Will Johnson, CEO della società di sondaggio The Harris Poll, ha dichiarato di leggere nei loro dati “che il nuovo packaging suscita nostalgia: risuona soprattutto nei consumatori tra i 30 e i 40 anni, i quali possono tracciare connessioni tra il packaging dall’aspetto retro e la loro infanzia”. In effetti, 16 consumatori hanno menzionato “retro” e cinque hanno menzionato “nostalgico” o “nostalgia” quando è stato chiesto a cosa li avesse fatti pensare i design del packaging di Burger King. E alla domanda sulla confezione di McDonald’s, sei persone hanno menzionato “retro” e cinque hanno menzionato “nostalgico” o “nostalgia”.

A questo criterio sembra essersi ispirata anche la catena di pollo fritto KFC. Sono state moltiplicate le strisce rosse e bianche del marchio, e all’acronimo si è preferito il nome esteso “Kentucky Fried Chicken”. Anche il volto del colonnello Sanders, che testimonia la storia e la gloria del marchio, si è arricchito di dettagli. Tutti notano, comunque, che il nuovo packaging somiglia molto a quello degli anni 60 e 70. La nuova confezione, tra l’altro, include istruzioni per il riscaldamento, “perché il pollo fritto di KFC è altrettanto buono il giorno successivo”.
Chris Turner, il CFO della società madre di KFC Yum Brands, ha infatti precisato che le persone hanno fatto ordini di fast food più abbondanti durante la pandemia di coronavirus, producendo più avanzi da riscaldare il giorno successivo.

Insomma, questo rinnovamento somiglia molto a un ritorno al passato. Con un occhio al presente, certo, con le nuove competenze e lo sguardo puntato sulla nuova sensibilità ecologica e sull’esplosione del consumo a domicilio, ma sembra proprio che l’idea di tutti sia suscitare i ricordi di una vera o presunta età dell’oro dell’economia e della società, e meglio ancora se coincide con quella dell’infanzia.

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Una donna di 35 anni, per esempio, ha definito il nuovo aspetto di Burger King “vecchia scuola” e ha spiegato che le ricordava la sua infanzia, “soprattutto la corona”.
Quanto a McDonald’s, la stessa persona ha dichiarato che “Sembra vintage. Mi piace molto, ma non assomiglia davvero a McDonald’s”. Una donna di 63 anni ha detto che il nuovo look di Burger King le ha fatto pensare ai “fantastici anni Sessanta” e ha ritenuto che McDonald’s fosse “pulito e semplice”.
Una donna intervistata di 28 anni ha affermato che il nuovo design di Burger King le ha fatto pensare a un “ristorante alla moda come Shake Shack”, mentre la revisione del McDonald’s le ha fatto pensare ai libri per bambini. In effetti, un lungo lavoro di design ha partorito linee e immagini semplici, giocose, morbide e fresche.

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Infanzia, ricordi, vintage: i colossi della ristorazione mordi e fuggi non fanno mai nulla per caso. In un mondo che cambia vorticosamente, che dopo un anno e mezzo di pandemia ha il volto trasfigurato e tenta di riaffacciarsi allo specchio nel tentativo di riconoscersi, le certezze del passato valgono più delle ambiguità del futuro. Questa sembra anche la certezza degli esperti di marketing che hanno consigliato i tre big della ristorazione. Ma a ben guardare, artisti e perfino leader politici hanno ben chiara questa verità, forse slegata dalle congiunture di ogni epoca.

Scrive per esempio Milan Kundera nel celeberrimo romanzo Il libro del riso e dell’oblio: “Gli uomini gridano di voler creare un futuro migliore, ma non è vero. Il futuro è solo un vuoto indifferente che non interessa nessuno, mentre il passato è pieno di vita e il suo volto ci irrita, ci provoca, ci offende e così lo vogliamo distruggere o ridipingere. Gli uomini vogliono essere padroni del futuro solo per potere cambiare il passato”. 

Da cambiare o da rivivere, il passato, forse, non passa, come ipotizzava lo storico tedesco Ernst Nolte. Sarà questo il segreto di un rinnovamento che attinge a piene mani alle geometria, ai colori ai sapori e, dunque, inevitabilmente, ad alcuni valori del recente passato? Per tutte le aziende, anche di settori differenti, e i professionisti della comunicazione (come noi) c’è molto su cui riflettere.


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